Stefano Pampanin
Tre domande a Stefano Pampanin, professore ordinario di tecnica delle costruzioni all’Università La Sapienza
"UN PIANO NAZIONALE PER PROGETTARE LA SICUREZZA"
“Una costruzione “antisismica” è progettata per salvaguardare la vita umana danneggiandosi come un’auto in un crash test. A livello tecnologico potremmo fare molto di più per difendere il nostro patrimonio: puntare a costellare le nostre città di “Ferrari antisismiche” anziché di “Cinquecento”. Per farlo serve un Piano Nazionale in cui tecnici e decisori lavorino insieme per un obiettivo e un risultato comune, una “vaccinazione” antisismica del costruito, un progetto coordinato e lungimirante che coinvolga i cittadini a verificare e migliorare gli edifici in cui vivono come è successo in Nuova Zelanda. Sarebbe un vantaggio per tutti, anche per l’economia del Paese”
Oggi è in realtà possibile progettare con l’obiettivo non solo di salvaguardare la vita umana ma anche l’edificio stesso, con un costo analogo a quello sostenuto per le costruzioni antisismiche con tecniche tradizionali e approccio “minimo da norma” perché il progresso tecnologico impressionante degli ultimi anni ha reso più accessibili e convenienti soluzioni innovative. In più, si potrebbero inserire incentivi per costruire e acquistare questa nuova generazione di edifici (quasi) “anti-sismici e “a basso danneggiamento”. Si tratta di alzare l’asticella dell’obiettivo prestazionale minimo da norma. Questo vale per il nuovo, per il patrimonio esistente è necessario implementare un programma di “revisione” delle auto-edifici esistenti a tappeto fissando le soglie di sicurezza di queste verifiche, sapendo però che, per difetti genetici associati alla conoscenza del tempo, nella stragrande maggioranza dei casi i fabbricati italiani non potranno essere sicuri come un edificio nuovo - quindi non passeranno la revisione di una auto-nuova appena prodotta ed in molti casi potrebbero non passare la revisione sismica anche con soglie già basse tipiche dell’auto usata, più vecchia e circolante. In quest’ultimo gruppo però e per un buon numero di casi - negli edifici uni e bi-famliari ma anche condomini- potrebbero bastare soluzioni di rinforzo strutturale-sismico relativamente semplici e consolidate, nei borghi storici è chiaro che sarà più difficile e complesso - ma per questo non è giustificata una no-action - agire.
Serve un Piano di Prevenzione in cui tecnici e decisori lavorino insieme per un obiettivo e un risultato comune, una “vaccinazione” antisismica massiva del costruito. Oggi manca ancora un programma a lungo termine di impatto che superi le azioni spot che, si è visto, non sono sufficienti se sporadiche e non continuative. Un piano di battaglia di queste dimensioni va organizzato ora, in “tempo di pace”, in tutte le sue sfaccettature di risorse tecniche umane – competenze professionali nei vari ruoli – e di materiali – per evitare di drogare il mercato ed essere certi che viveri e munizioni non manchino mai in una campagna di guerra –, nonché economiche e finanziarie, attraverso una combinazione di contributi privato-pubblico-assicurativo e con una pianificazione ventennale o trentennale (come avrebbe dovuto e potuto essere il Superbonus). È un piano che coinvolge i cittadini in un processo di co-creazione. In Nuova Zelanda lo abbiano fatto con un piano nazionale in cui i cittadini sono stati chiamati a verificare i propri immobili e a migliorarne la sicurezza.
Nel nostro Paese, negli ultimi 40-50 anni abbiamo speso circa 40 miliardi all’anno tra costi di ricostruzione e ricadute economiche indirette. Praticamente è come se oggi ci trovassimo a dover far fronte a un maxi ‘mutuo sismico’ di millecinquecento miliardi che tutti pagano – anche chi vive in zone a bassa sismicità e non è stato colpito in questi decenni da alcun terremoto – nella forma di tasse, accise e in generale impoverimento economico su scala nazionale. Se non incominciamo a restituire il capitale di questo mutuo, con azioni proattive di intervento, stiamo di fatto continuando a ripagare gli interessi, senza alcun miglioramento della situazione, aspettando la prossima catastrofe. È un trend che va invertito.
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